Aboulaye è morto in mare. Lì sulla punta cannone, dove i ragazzi come lui giocano a fare i tuffi. La maggior parte dei ragazzi dell’Africa non sa nuotare, altre volte, infatti, prima di lui, alcuni ragazzi stranieri che dicono ”so nuotare“  sono stati salvati da qualche persona che si è accorta subito che non erano pratici nel nuoto. Nuotare su una spiaggia sabbiosa che degrada lentissima verso il mare profondo non è nuotare, somiglia a camminare, nuotare dove il fondo non si tocca è diverso.

Forse è stato colto da un malore. Era il suo quindicesimo compleanno e aveva convinto i responsabili e  i suoi amici a passare una giornata al mare, in una calda domenica di aprile. La mattina anche se musulmano dopo la messa era andato a giocare in oratorio, don Stefano aveva organizzato una piccola festa con un po’ di caramelle. Poi nel primo pomeriggio il suo inaspettato ultimo viaggio, da Miggiano, dove era ospite, dallo scorso luglio, in casa famiglia per minori non accompagnati, a Tricase Porto.

Dopo aver attraversato mezza Africa e il mar di Sicilia, morire a Tricase Porto davanti ai tutti i bagnanti, il giorno del suo compleanno, è davvero incomprensibile.

I suoi compagni sono distrutti, sono là, maglietta e costume da bagno. Tremano per il freddo, la tensione e lo shock. I ragazzi egiziani sono tristi e piangono, uno è disperato, ha provato a salvarlo ma ha rischiato di morire anche lui. I ragazzi ivoriani, suoi connazionali, sono impietriti, gelidi, fissano il nulla, gli portiamo qualcosa per coprirsi, anche loro tremano.

Assistono con speranza all’intervento degli uomini del 118, che cercano di rianimarlo con tutti i mezzi, ma niente. Un suo amico gli tiene la mano, quasi a volergli dire “stai con me dai stringi…”.Lui è lì disteso, con l’asciugamano addosso, si vedono i piedi, solo i piedi. Piedi che hanno fatto migliaia e migliaia di km, città, periferie, foreste e deserti e sono saliti sul gommone che lo ha portato in Italia. Quei piedi rovinati dalla strada percorsa. E’ lì, steso, e il sole va’ via.

I Carabinieri raccolgono le informazioni, i ragazzi sono ancora più infreddoliti, disperati. Alcuni giovani adulti ivoriani, che vivono nei nostri paesi, sono venuti per stare accanto agli amici di Aboulaye: Bakary, Olivier, Sissoko, Sidibe, Dramman, Nury e poi Ayman, di nazionalità egiziana che parla con i ragazzi egiziani, cerca di consolarli.

Bakary, è un punto di riferimento, è stato ospite  fino a dicembre scorso presso il centro accoglienza della Parrocchia S. Ippazio di Tiggiano, chiama il padre del ragazzo per dargli la notizia, e racconta a tutti la sua decisione più amara e generosa, affida alla nostra terra, che solo per poco lo ha accolto con la promessa di un futuro di speranza, che il corpo del figlio possa riposare nel cimitero di Miggiano.

Bakary ha un figlio di 7 mesi che porta lo stesso nome del ragazzo morto, Aboulaye, nome di origine africana: “colui che ha onore o onorato da Dio”.

All’arrivo della bara tutti sono rivolti a mezzaluna verso il corpo del ragazzo per l’ultimo saluto. Bakary, piange, seduto sul gradino della torretta-Punta cannone, piange; è diventato padre a settembre e aveva giocato a calcio coi ragazzi il giorno prima …piange di una tristezza infinita.

I ragazzi seguono il feretro e tutti noi dietro, in un corteo funebre improvvisato, ingiusto.

Tante cose da dire, tante cose da tacere. Lo affidiamo a Dio, certi che lo terrà stretto tra le sue braccia e consolerà la sua famiglia che aveva investito tutto su di lui.

Massimo Buccarello